Lettera 92

Illustrissimo et excellentissimo Domino domino meo singularissimo Domino Duci Ferrariae etc.

Illustrissimo et excellentissimo Signor mio. Il Moro di Pelegrin dal Silico è stato et è in prigione, come sa vostra excellentia: la principal causa perché io ‘l presi fu per far satisfare questi poveri homini di Cicerana de li danari in che, per haver patito che li banditi fossino stati ne la lor terra, erano stati condennati, e parendomi che se li homini di detto Commune erano incorsi in pena per non haver prohibito che li banditi stessino in la lor terra, maggiormente doveva essere condennato questo Moro, che li haveva sempre tenuti in casa, manggiato e bevuto, et andato e stato tuttavia in lor compagnia; ché per ciascun di questi capi, secondo la mia grida, di che a m. Opizo mandai la coppia, si doveva condennare. Poi che questo Moro è stato in prigione, non è mai apertamente comparso alcun di Cicerana a dolersi di lui; e questo per le minaccie che son lor fatte da Giuglianetto et altri fratelli del Moro, e da altri banditi, che pur senza alcun timore di Vostra Signoria stanno in Cicerana, et ancho da li fautori c’hanno questi di Pelegrino dal Silico in questa terra; e fin qui non è mai stato homo di quello Commune ardito di presentare al Capitano, a cui la causa è commessa, uno rescritto c’hanno da vostra excellentia, che sieno gravati realiter et personaliter il Moro et il fratello ad ogni danno et interesse che, per havere essi fratelli riceptati li banditi et assassini, essi di Cicerana habbiano patito. È ben vero che molte volte son a uno e a dui venuti segretamente a pregarmi ch’io li aiuti, et a farmi intendere li rispetti che li ritengono di fare le debite querele, e che quella terra è giunta a tanta tirannide et a tanta paura di questi ribaldi, maximente di quel fratello del Moro detto Giuglianetto, che li batte, ferisce, ruba, sforza e minaccia, ch’al fin sarà lor forza di abandonar le lor case et andarsene dispersi pel mondo. Io, mosso a pietà di loro e pel debito c’ho verso la iustitia, ho molte volte pregato il capitano qui che condanni il Moro, sì come ricettatore de’ banditi, a pagare e satisfare il detto commune di quello ch’esso per cagion del Moro e del fratello ha patito; esso Capitano non l’ha mai voluto fare, e rispostomi che’l Moro non può essere condennato per haver ricettato banditi, cum sit che dinanzi da sé è provato per testimonij che di tal receptione il Moro non ha colpa, ma che, havendo la casa commune col fratello, non ha potuto vietare al fratello di non far de la sua parte quello ch’egli ha voluto, e che gli è stato il fratello Giuglianetto e non esso che ha dato ricetto a’ banditi. Io ho replicato al capitano che se per questo capo pur non lo può condennare, perché non lo condanna per havere mangiato e bevuto con loro, parlato, conversato e menatoli seco in Lombardia et altrove, ché per ciascun di questi capi, secondo la mia grida, debbe essere condennato: mi risolve che non vuol farlo e che l’ha condennato quello ch’è stato conveniente. Ultimamente con comandamento penale ho fatto che gli homini di Cicerana m’hanno exhibita quella lor suplicatione col rescritto di vostra excellentia, nel quale è commesso al capitano, come Commissario, che faccia che da questo Moro e dal fratello Giuglianetto, li quali sempre hanno in lor casa dato ricetto a’ banditi, sia del patito danno per lor causa satisfatto il commun di Cicerana, e questa suplicatione in presentia del Notaro e con testimonij ho data al capitano, e fattoli instantia in nome del Commune di Cicerana (del quale in questo caso mi par conveniente ch’io sia procuratore) che exequisca quanto in essa suplicatione si contiene. Per questo il capitano non si è voluto muovere del suo passo, ma risponde che se quelli di Cicerana voranno ragione, bisognerà ch’essi sieno quelli che si scoprano e che la domandano. E per questo son venuto in sospetto che a’ preghi e contemplatione di qualchuno esso capitano tenga questa via, acciò che’l Moro vada exempte, e che quelli di Cicerana restino nel danno; e che se bene ha condennato il Moro ne la confiscatione de li suoi beni e ne la disgratia di vostra excellentia per essere ito in Lombardia in aiuto d’una de le parti contra la grida che io feci fare in nome di vostra excellentia, forse si persuada (volendolo aiutare) che di questo troverà più presto remissione e perdono da vostra excellentia, che non farebbe del danno che per sua causa hanno patito gli homini di Cicerana. Del tutto ho voluto avisare quella, acciò che andando le cose come si vogliano, non creda mai che di mia volontà la iustitia, la equità e la misericordia, dove si conviene, non habbia luogo. Et in sua buona gratia mi raccomando sempre.

Castelnovi, 15 Iunij 1523.
humillimus Servitor Ludovicus Ariostus.