Lettera 102

Illustrissimo et excellentissimo Domino d. meo singularissimo Domino Duci Ferrariae etc.

Illustrissimo et excellentissimo Signor mio. Pier Morello m’ha portato una di vostra excellentia ne la quale essa mi riprende ch’io habbia mandato a consigliare la causa ch’egli ha col Pisano a Lucca, e che più presto io non l’habbia mandata a Ferrara. Ma acciò che la ragion mia ancho s’intenda, vostra excellentia intenderà come questa causa fu commissa al Commissario et alli quattro soprastanti alla gabella, et essendo venuta per questo in mia mano questa causa, io ne presi consiglio a’ dì passati con m. Raphaele da Carrara alhora capitano di Camporegiano: e questo perché il capitano qui di Castelnovo è sospetto grandemente al Pisano. Esso m. Raphaele, veduto il processo, mi fece la sententia in scritto, ne la quale absolveva il Pisano a solutione datij per quelli legnami de quibus in causa, e Pier di Morello ab expensis; e non mi fidando io che questa sententia fosse de iure per certi andamenti che havevo veduto, ne mandai la coppia a vostra excellentia, e la pregai che la facesse vedere al consiglio, e dissi di volere appresso mandare il processo. Ma vostra excellentia mi fece rispondere che non voleva che altrimenti il consiglio se intromettessi in questa causa: che pur io la terminassi secondo il parer mio e de li quattro soprastanti. Dopo, fra pochi dì, venendo io a Ferrara e parlando di questo col Magnifico mastro Matheo Casella, sua Magnificentia mi disse che io non andassi cercando altri consigli, ma che secondo il parer de li quattro io la expedissi. E così, tornato ch’io fui qui, tolsi il processo, e chiamai li quattro li quali si trovano essere al presente; e poi c’hebbi udito il parer loro, chiamai li altri quattro e gli altri quattro anchora ch’erano stati prima, e finalmente quanti homini di questa terra per diversi tempi erano stati a quello officio de la gabella: li quali, nemine discrepante, ho ritrovati tutti conformi che di tal petitione il Pisano debbia essere absoluto, fondando questo lor parere, parte sopra li capitoli de la gabella, parte su la consuetudine, ché mai non si pagò, ma più che dicono che la volontà di chi tali capitoli constituì non fu mai che di tal cose s’havesse a pagar datio: e ne sono alcuni vivi che si trovaro a farli; et aggiungono anchora che, quando questi capitoli non fussino ben chiari, tutta questa terra sarebbe per far generale consiglio, e chiarire nominatamente che di tal cose non s’havesse a pagar datio; e questo perché quando tali imprese di legnami si facevano, si dava guadagno a’ poverhomini che mettevano opere e fatiche in tal condotte di mille ducati l’anno: il che, poi che questa lite è comminciata, è cessato con grandissimo danno del paese. Veduto io che’l parer di tutti gli homini di questa terra era risoluto che’l Pisano erat absolvendus, proposi loro che ancho iudicassino se Piero dovea essere condennato in le spese et in certa pena in che per li capitoli incorre il gabelliero che domandi quello che non ha d’havere; e se lor pareva an Petrus habuerit iustam causam litigandi an non. A questo non potei condurre alcun di essi che volesson giudicare, allegando che questa era materia da Doctori e non da essi, che sono volgari et idioti. Per questa causa, desiderando io di dar sententia che fosse iustificata e che quando si havesse a vedere altrove non fosse reprobata, presi expediente di mandare il processo a Lucca per farmi chiarire questo punto, sì come luogo più vicino, sperando di mandare un dì il processo, e l’altro haverne la expeditione. Ma la cosa è successa altrimente, perché il dottore a chi lo mandai si trovò amalato, e mai non l’ha potuto vedere; ma hora che io intendo la volontà di vostra excellentia, lo manderò sùbito a tôrre e lo rimetterò a Ferrara. Credo che Pier Morello si sia venuto a doler di me come di persona che non spiera poter trattare a suo modo contra la iustitia, perché mai non gli ho risposto, come forse sperava; imperhò che nel principio ch’io venni qui, egli mi fece offerire, prima per ser Tito, alhora mio cancellieri, e poi a me in persona, di volermi dar la metade di ciò che si poteva cavare da questo Pisano, et ancho miglior conditione, pur che io lo favorissi usque ad victoriam in questa causa. S’io ho fallito a mandar il processo a Lucca, m’incresce: ma non ho perhò fatto cosa che altri miei predecessori non habbiano fatto, e che mi paia che sia contra il dovere, essendo di qui a Lucca 20 miglia e di qui aFerrara cento; né ancho ho Lucca per città nimica di vostra excellentia, né dove una parte habbia più amicitia o parentado che l’altra; né a l’una parte né all’altra io dissi dove o a chi io l’havessi mandato, né so come Piero poi l’habbia inteso; ma dubito che esso habbia paura de la ragione in ogni loco, e che non habbia fatto questa querela perché dubiti più di Lucca che d’altro luogo, ma perché ogni indugia e dilatione fa per lui. Se ‘l Pisano si duole perché sia menato in lungo, ha ragione, perché ha frustato tanto tempo qui, che se fosse stato in paradiso gli dovrebbe rincrescere: ma la colpa non è mia. Questi homini vengono mai volontiera a dar questa sententia, e studiosamente vanno tutti diferendo finché possano uscire di officio, e lasciar questo carico alli successori: ma quando fosse comessa nominatamente a quelli quattro che erano in officio al tempo che la causa fu commessa, cioè Soardino, m.ro Gianpietro Atolino, Simon di Lorenzo e Valdrigo, o ad alcun altro che havesse essere giudice usque ad expeditionem cause, credo che attenderebbono alla expeditione, e non a mirar di dare il carico al successore. Tutti sono d’accordo a dire che Piero ha il torto, ma non gli vorebbono far male. Se pare a vostra excellentia che io mandi il processo, e che io aspetti da Ferrara la sententia o che pur che io la dia secondo il consiglio di questi homini secondo la commissione di vostra excellentia senz’altra consultatione, quella mi faccia dar aviso, che sùbito io gli darò expeditione. In buona gratia de la quale mi raccomando.

Castelnovi, 16 Iulij 1523.
Servitor Ludovicus Ariostus.