Lettera 14

Roma, 7 aprile 1513, all’amico fraterno messer Benedetto Fantino

Ariosto è arrivato a Roma per l’incoronazione dell’amico e compagno di studi Giovanni de’ Medici, salito al soglio pontificio col nome di Leone X. Con la consueta ironia, il Servitor rivela l’astuto atto di vanità del pontefice che non porta gli occhiali per non riconoscere, tra i tanti, anche il nostro poeta qui in veste di ambasciatore: Ariosto viene infatti ascoltato distrattamente dall’ex condiscepolo, ricevendo peraltro non maggior attenzione dai vecchi amici di un tempo assurti a incarichi di prestigio grazie ai favori del nuovo papa. Il poeta viene snobbato per i vestiti non consoni alla magnificenza dell’ambiente e si lamenta per non riuscire a sfondare il muro di persone e le innumerevoli porte che proteggono personalità di primo piano, come Bernardo Bibiena. Nella chiusa Ariosto, con icastica ironia, teme che venga scambiato per un comportamento scortese (mi acusassino di asinità) l’inadempimento di alcuni favori richiestigli a cui non può dar seguito vista la scarsa considerazione di cui gode nella corte pontificia.


Al come fratello honorando Messer Benedetto Fantino cancellere de l’Illustrissimo e Reverendissimo Cardinale de Ferrara etc. In Ferrara.

Messer Benedetto mio honorando. Ho hauto per il mio ragazo una vostra lettera molto tarda, perché da Firenze, dove se è fermato qualche giorno, è venuto in qua a piedi, et è stato assai per via. Del negocio vostro non ho fatto anchora nulla, non perché non me lo sia racordato, ma perché non ve ho saputo capo né via. Io son arrivato qui in habito de staffetta, e per non haver panni ho schivato de andare a persone de dignità: perché qui, più che in tutti li altri lochi, non sono extimati se non li ben vestiti. È vero che ho baciato il piè al papa, e m’ha mostrato de odir volontera: veduto non credo che m’habbia, ché, dopo che è papa, non porta più l’occhiale. Offerta alcuna, né da Sua Santità né da li amici mei divenuti grandi novamente, me è stata fatta, li quali mi pare che tutti imitino il papa in veder poco. Io mi sforzarò et hoggi cominciarò, che non serà più longo, a vedere se io potrò haver mezo alcuno con quel Messer Paris. Usar Messer Bernardo per mezo, credo poter male, perché è troppo gran maestro et è gran fatica a potersegli accostare: sì perché ha sempre intorno un sì grosso cerchio de gente che mal si pò penetrare, sì perché si conven combattere a 20 usci prima che se arrivi dove sia: la qual cosa a me è tanto odiosa che non so quando lo vedessi; né ancho tento de vederlo, né lui né homo che sia in quel palazo: pur per vostro amor sforzarò la natura mia, ma potrò far poco, perché, fatta la coronatione, che serà fra 4 dì, faccio pensero de venirmene a Ferrara. Io intendo che a Ferrara si extima che io sia un gran maestro qui: io vi prego che vuj li caviati de questo errore, cioè quelli con che vi accade a parlare, e fatili intendere che son molto da manco che non ero a Ferrara, acciò che, richiedendomi alcuno qualche servicio e non lo facendo per imposibilità, e non lo sapendo essi, mi accusassino de asinità. Altro non m’accade, se non che a voi mi racomando.

Romae, 7 Aprilis MDXIII.

METADATI

  • Mittente: Ludovico Ariosto
  • Destinatario: messer Benedetto Fantino
  • Data:7 aprile 1513
  • Luogo di spedizione: Roma
  • Collocazione: ASMo, Archivio segreto estense, Cancelleria, Archivio per materie, Letterati, b.3, fasc. 7.